Plaza
Garibaldi, Mexico D.F. - 1 gennaio 2005
Plaza Garibaldi non si è ancora ripresa dai festeggiamenti
della notte precedente, che già si appresta ad essere teatro
della prima partita del nuovo anno.
Le statue di Lola Beltran, Cirilo Marmolejo Cedillo, Juan Gabriel
e gli altri miti della musica popolare messicana, assistono solenni
allo schieramento delle due formazioni in campo, mentre la logica
abbandona la composizione delle squadre. Potrebbero essere passanti
contro parcheggiatori, giovani contro adulti, amanti di tacos e tortillas
in sovrappeso contro bevitori di pulque.
Sono solo in sei, ma ognuno con lo sguardo determinato di chi vuol
dare il meglio di sé, un vero ganador in maniche di camicia
rimboccate o in un paio di pantaloni che, scesi sotto la cintura,
diventano impossibili da gestire.
Le porte: due sassi da una parte, una panchina dall’altra; si
corre, si lotta, si suda, ci si insulta, si ride. Importa davvero
chi sta vincendo la partita della mattina di Capodanno?
Nonostante il sole ormai alto, l’atmosfera è quella dello
stadio Atzeca sotto i riflettori, anche se ogni tiraccio fra le sedie
dei comedores lì intorno è accolto come una benedizione
della Vergine di Guadalupe per riprendere fiato, e non ci sono ringraziamenti
per quel cameriere invidioso che, invece di continuare a lavare tavoli,
rilancia subito il pallone in campo.
Forse nessuno tiene il punteggio, di sicuro non quelle strane figure
affatto interessate al risultato, che lentamente, con fare solenne
come a rendere omaggio agli eroi di bronzo, consapevoli dell’eredità
che rappresentano, si muovono ai bordi della piazza, verso il patio
affacciato su Avenida Lazaro Cardenas; dieci, poi venti, poi cinquanta
e più, vestiti soprattutto di nero, ma spiccano anche alcune
macchie bianche, in quella piccola folla silenziosa, discreta, che
come ogni giorno si raduna a prendere possesso del luogo dedicato
dalla consuetudine e dalla tradizione alla musica mariachi.
Chitarre incrociate cercano giusti accordi; larghe cravatte rosse
annodate in svolazzanti fiocchi e spille a forma di cavalli, sfilze
di medaglie mai vinte, pompose bordature argentate sulle maniche e
giù fino agli stivali lucidissimi, a tracolla le scure custodie
degli strumenti, il tempo passa e questo è l’importante.
Non c’è ansia, non c’è fretta, la musica
è prima di tutto un pretesto per incontrarsi, per una bevuta,
mentre qualcuno suona, qualcun’altro lucida la tromba, altri
ancora affrontano i primi tacos de chorizo della giornata. Il tempo
passa e questo è l’importante; señor, quieres
Cielito lindo, Mexico lindo, El maracumbe?
E’ mattina e il lavoro vero comincia solo verso il tramonto,
ma ciò che ha senso è il prima – dame un trago
de cerveza por favor – l’attesa da consumare insieme,
le note e la loro condivisione qualcosa che va oltre l’ingaggio
per la serata, per questi uomini solo in apparenza tutti uguali, i
capelli impomatati pettinati all’indietro e i baffi portati
con orgoglio mexicano. Lola Beltran intona idealmente La tequilera
mentre la piazza si anima di sacerdoti della Mariacheria.
Yo soy de San Luis Potosì, canta la Divina e le chitarre le
vanno dietro; E’ così lontano il rock en Español?
Maldita Vencidad, Caffè Tacuba giovani oltre la storia, ma
solo in apparenza, perché in fondo calcio e musica possono
scandire la percezione del trascorrere del tempo.
In una nota, o in un gol, a sancire la fine di una canzone o di una
partita tre contro tre l’essenza di uno stato d’animo
descpacito despacito, che appartiene tanto all’automobilista
assonnato ma con i finestrini aperti a sfogo dei 1000 watt di impianto
stereo, quanto al romantico mariachi, eterna reincarnazione di Jose
Alferdo Jimenez, fino al tifoso dell’America, che ad ogni gol
del porteño Claudio Lopez balla e canta il sabbah del giorno
dei morti degli indios Purepecha.
Così, mentre gli uomini neri dai fregi d’argento riempiono
plaza Garibaldi di suoni di guitarrónes e chitarre vihuela,
intrecciati a quello delle trombe, di qualche violino e delle voci
di fedelissimi di Cirilo Marmolejo Cedillo, la partita fra le porte
di sassi e panchina aspetta, languida, la giusta apoteosi della non
vana attesa, l’attesa della magia, come un accordo, tequila
in un Margarita, chicharrones e cerveza.
Sentirsi Hugo Sanchez è un attimo.
Ed ecco che più della cintura che non regge poté, per
i contendenti senza logica ma pieni d’orgoglio, la voglia di
sentirsi al centro del mondo, allo Zocalo, di Atzeca memoria nel nome
dello stadio e nella tradizione precolombiana, e la palla, colpita
con il giusto effetto, improvvisa, come una canzone inizia la sua
parabola, incantesimo del tempo che passa, si alza sulle teste e sulle
pance dei peleadores. Dietro di lei, come le note di Juan Gabriel
in una notte mariachi, stagliati nel mattino che si consuma, una scarpa
e quel che resta di una suola di cartone, seguono l’inatteso
pallonetto scavalcare tutti, per depositarsi, precisi e fermi, prepotenti
e casuali, fra le zampe della porta-panchina, in Plaza Garibaldi,
il primo giorno del nuovo anno.
Braccia al cielo, all’invisibile pubblico di uno spettacolo
di calcio e musica solo immaginario. O forse no.
Que golazo… señores !
Quieres Cielito lindo ?
Feliz Año Nuevo. Que viva Mexico.
Michele
Castelvecchi
Pino
Cacucci
La Polvere del Messico
Un ottimo modo per conoscere l’altra faccia di un paese è
senza dubbio quello di affidarsi alle parole di chi, viaggiando, ha
incontrato personaggi caratteristici o anonimi, reali ma sconosciuti,
attraverso percorsi che difficilmente sono quelli tradizionali. Giocatori
di ullamazitli (la pelota degli Atzechi) a Esuinapa, pescatori Nahua
del Michoacan, taxisti di Città del Messico, storie quotidiane
e antiche leggende raccolte su autobus di provincia o in casa di ospiti
occasionali. Pino Cacucci ripropone “La polvere del Messico”
in una nuova edizione, ampliata con altre esperienze messicane, dal
confine con gli Stati Uniti a Ciudad Juarez, al Lago di Patzcuaro,
da sempre fulcro delle tradizioni degli indios Purepecha, fino a Tapachula,
città di frontiera di disperati centroamericani e banditi ex
militari di Salvador e Guatemala.
Un modo per integrare qualsiasi guida tradizionale e lasciarsi condurre
nel cuore di un paese straordinario.
Pino
Cacucci
La polvere del Messico
Feltrinelli
Euro 7,50