Sharif
Mi addormento alla stazione mentre guardo Sharif, lui ha 18 anni compiuti ieri. Da oggi non è più sotto la tutela degli assistenti sociali. È diventato maggiorenne in una notte. È partito un anno fa, dal Bangladesh , un viaggio verso la miseria, pieno d'illusioni, pagato dai risparmi dei suoi tre fratelli più grandi, i genitori sono morti quando lui era ancora molto piccolo. Siamo andati in città a cercare un lavoro per avere poi un contratto regolare, i documenti a posto. In una sola notte è diventato anche un potenziale clandestino, un fuorilegge, un delinquente. Tra pochi mesi scadrà il suo visto e il suo diritto di vivere in Italia. Lo guardo e penso a mia sorella diciottenne, penso alle premure che le vengono riservate, perché considerata ancora piccola.
Lui dorme alla Caritas, deve uscire la mattina alle otto, anche d'inverno quando fa freddo, anche quando ha la febbre, anche se ha solo diciotto anni e non un' idea su dove andare, senza soldi e senza malizia. È un ragazzino scaraventato nel vortice della follia moderna. Mentre aspettiamo il treno per tornare in periferia lui mi parla ed io mi appisolo e comincio a sognare. Sogno un viaggio, il suo viaggio.
Occhi d'oriente di luce metallica. Un riflesso quasi d'oceano tra la cenere e il cielo ma di brillantezza smorzata come l'effetto di una luce appena spenta. Sogno una prigione piena di immaginazione e di promesse. Ha attraversato l'India del nord, diagonalmente, e poi il Pakistan e l'Iran dentro i suoi conflitti e le terre ferite per risalire l'Iraq e poi la Turchia che aspira all'occidente. Quasi il Mediterraneo e poi l'Italia. Ma la mente non lo fermerebbe. Allora continua. Ricomincia il viaggio senza fame né freddo, senza urgenze materiali, è un mondo aperto e libero e senza catene né impedimenti, una terra di tutti. Una sosta nelle locande fumose e calde del nord, sulle alpi. Arrivare in Francia e respirare le campagne e l'incanto dei romanzi, l'eco delle rivoluzioni, l'aria frizzante dei boschi di Pissarro, la poetica visionaria dei cafè d'altro tempo. Scendere poi nella Spagna tra i colori e il cubismo, inebriarsi dei vini e delle musiche veloci, festose, arabeggianti. Scenderla tutta e tuffarsi in mare, vedere Casablanca e un grande pianoforte, i mercati brulicanti di colori e pungenti di odori, i tappeti infiniti, i cesti traboccanti. Già sentire il caldo equatoriale, ancora un po' di strada tra i cammelli, il deserto, le carovane d'un tempo, le oasi, i miraggi. Senza stancarsi. E ancora continua e capisce, allora, che l'attraverserà tutta, l'Africa. I fiumi infiniti, popolati di strane creature notturne, miscugli casuali della natura tra potenza ed ironia. Riposerà una sola notte, sotto una palma piena di stelle. Volerà con un salto sull'oceano, quello Indiano, sul volo immenso di un desiderio grandissimo. Sul moto del flusso oceanico, come naufrago del mondo, approdato alla fine sulla riva del suo desiderio più grande. Avendo visto il mondo e le sue storie, ricco com'è di carica magica. Su Salomone, isolotto con tre fratelli, rimarrà lì, si fermerà lì. Sopra di lui da qualche parte, radici di casa, nostalgia grande come i ricordi, come saudade, sotterranea, viscerale, malinconica e divina nell'essenza. La chiuderà in uno scrigno sulle rive dell'oceano, la dimenticherà tra le maree. Diventerà sabbia e mondo, lacrime e sangue.
Il treno mi sveglia, col suo sibilo acuto. Sharif mi sorride, con i suoi occhi profondi, ride del fatto che mi sia addormentata nella confusione della stazione, mentre lui raccontava del viaggio che aveva fatto fino in Italia e della fiducia che riserva a domani, forse troveremo un lavoro per lui.
Azzurra Panaccione