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Ombre cinesi sul Continente nero
In piedi, entra la Corte
L'altro Congo

Un fallimento chiamato Kenya - nuovo

 


Osservatorio africano

(pubblicato su “Galatea”, marzo 2005)

Figli di papà

 

Le colpe dei padri ricadono sui figli. Lo abbiamo imparato dalla Bibbia e dalla tragedia greca. “Qualis pater, talis filius”, gli antichi romani rincaravano la dose. Ma il rapporto è anche reversibile, un figlio degenere, una pecora nera può infangare il buon nome dei genitori. Nel caso delle tre storie che seguono, apparentemente è vera questa seconda ipotesi, ma solo ad uno sguardo superficiale. Le tre storie stanno lì a rendere emblematica, esemplare, una realtà nascosta, la realtà nascosta della politica e della diplomazia internazionale, e forse non è casuale che siano tutte ricollegabili, direttamente o indirettamente, all’Africa, un continente così generoso da aver dato una possibilità a tutti i peggiori , i peggiori leader (locali e non), i peggiori imprenditori, i peggiori militari. L’Africa è il vero “refugium peccatorum”, capace di dare successo, fama e potere a chiunque abbia un po’ di senso dell’avventura. Se poi va male, si può tornare nell’ombra, nell’anonimato tranquillo e dorato di Europa e Stati Uniti, come il figlio prodigo torna alla casa del padre, dopo aver fatto danno altrove.
I tre “figli prodighi” si chiamano Jean-Cristophe Mitterrand, Mark Thatcher e Kojo Annan. Le loro storie avrebbero meritato più attenzione, e non tanto o non solo perché si parla di VIP, di famiglie potenti, ma soprattutto perché riguardano faccende di armi e petrolio, di finanza internazionale e di appoggi diplomatici. In altre parole, perché sono storie assolutamente rivelatrici, sono squarci nella grande omertà mondiale, che raggiunge il massimo della compattezza quando riguarda il continente più debole, l’Africa.
Cominciamo con il figlio di Kofi Annan, cioè del rappresentante di rango più elevato che l’Africa abbia mai avuto. Kojo Annan è uno dei due figli del primo matrimonio del segretario dell’ONU. Una coppia tutta africana: lui originario del Ghana, lei della Nigeria. Kojo ha solo nove anni quando il padre divorzia, sua sorella Ama (tipico nome ashanti, “nata di sabato”) undici: i due restano con il padre e sono affidati ad un internato svizzero. Completano gli studi in Inghilterra e negli USA, secondo la migliore tradizione internazionale, mentre il padre, che si è risposato con una svedese, scala tutti i gradini all’interno dell’ONU, organizzazione dove lavora fin dal 1962. Quando si tratta di buttarsi nel mondo del lavoro, i due rampolli scelgono l’Africa, vanno in Nigeria, dove vive la madre. Ama trova lavoro in una grande compagnia marittima (la Nigeria è paese di grandi traffici, molto spesso illegittimi); Kojo si piazza subito in un ruolo chiave (ai fini della nostra storia) presso la filiale di una ditta svizzera specializzata nel controllo degli scambi commerciali internazionali, la “Cotecna Inspection S.A.”. E’ il 1995.
Due anni dopo, nel 1997, inizia il programma “Oil for Food” (“Petrolio per cibo”): una soluzione dell’ONU per alleviare le sanzioni all’Irak di Saddam Hussein. Il raìs può vendere all’estero il suo petrolio e garantirsi l’acquisto di generi di prima necessità, medicine e quant’altro può servire a risollevare una popolazione che vive in condizioni drammatiche. A controllare gli scambi penserà il Comitato 661 delle Nazione Unite, una sessantina di persone guidate dal cipriota Benon Savan, nominato direttamente da Kofi Annan, che firma personalmente tutti i rapporti semestrali. La prima preoccupazione del Comitato, impedire che arrivassero armi in qualche modo al dittatore iracheno, sembra sia stata anche l’unica, a giudicare dai risultati. Lo scandalo dell’operazione “Oil for Food” non riguarda infatti vendite illegali di armi, che a quanto pare non ci sono state. Riguarda la gestione in sé degli affari, una tangentopoli in piena regola, che vedeva arricchirsi in modo illegale sia Saddam e la sua cricca al governo, sia le società occidentali coinvolte nelle operazioni di scambio.
Sono in tanti ad approfittare alla grande di un commercio che doveva aiutare la popolazione irachena. Per concludere affari a così alto livello ci vogliono mediatori con le dovute protezioni politiche. Uno di questi è il figlio di Annan, che continua ad essere pagato dalla Cotecna, società che opera nel quadro dell’operazione “Oil for Food”, pur essendone uscito. Lo strano stipendio (2.500 dollari, neanche tanto) versato al figlio di Annan è quasi certamente solo una piccola parte dei compensi da lui intascati sottobanco. Un altro mediatore, tanto per avvicinarci alle storie di casa nostra, potrebbe essere stato il brillante Roberto Formigoni attraverso la società Cogep, indagata per appropriazione indebita e corruzione internazionale nell’ambito dello scandalo “Oil for Food”. In altre parole, il petrolio iracheno sarebbe stato venduto illegalmente dietro il pagamento di una tangente al governo di Saddam Hussein.
Insomma, al popolo iracheno arrivava ciò che rimaneva dopo che Saddam e soci da un lato, imprese straniere, mediatori e loro referenti politici dall’altro si erano lautamente “premiati” per la conclusione degli affari, imboscando tutto quello che si poteva imboscare. Qualcuno dirà che si è visto di peggio, ed è pure vero. Ma almeno dovrebbe essere chiaro quanto è scarsa la credibilità di quelli che hanno gestito la vicenda irachena fino ad oggi, americani e britannici in primis.
La seconda storia è meno recente, e riguarda un padre che non c’è più, François Mitterrand, icona del socialismo francese ed europeo, presidente che si voleva illuminato e progressista, e il suo figlio più grande, Jean-Cristophe.
Forse intuendone le capacità non eccelse, Mitterrand padre aveva nominato il figlio ad uno di quei fantastici posti da consulente, portavoce, “special advisor” o come si voglia chiamare, per l’Africa. Dal suo impeccabile ufficio all’Eliseo, Jean-Cristophe si è messo fare il contrabbandiere di armi, garantendo forniture militari a paesi che non potevano importare armamenti.
Nei paesi francofoni dell’Africa era stato ribattezzato, con evidente disprezzo, “papa m’a dit” (“papà mi ha detto”), che era sicuramente la “password” migliore per concludere affari. Fra i tanti realizzati nel periodo 1986 – 1992, uno in particolare gli è rimasto appiccicato addosso, tanto da portarlo in galera alla fine del 2000: la vendita di armi per 500 milioni di dollari all’Angola che si dissanguava nella guerra civile. Lui ne avrebbe intascati quasi due. Tutti soldi provenienti ancora una volta dal petrolio, gestito dalle compagnie americane. In Africa il trittico petrolio (materie prime) – armi – conti bancari all’estero è talmente spudorato che forse in molti pensano che ogni operazione sia più o meno legale. Il bello è che poi i poveri africani devono anche sorbirsi i giudizi sulla loro presunta “immaturità democratica” dai presidenti francesi (in questo caso, Chirac).
Ma la storia più incredibile riguarda Mark Thatcher, figlio della leggendaria Margaret, la “lady di ferro” tanto ammirata nella culla della democrazia moderna, l’Inghilterra. Una donna che dimostrò al mondo che era ancora possibile fare una guerra di tipo classico, le belle guerre di una volta, dove almeno ci si ammazzava solo fra soldati. La battaglia navale fra Regno Unito e Argentina del 1982 per le isole Falkland-Malvinas rinverdì i fasti militari britannici nell’Atlantico, castigando gli argentini mandati allo sbaraglio dai soliti fascisti megalomani, i colonnelli della giunta militare di Buenos Aires. Un brivido imperiale attraversò l’animo dei sudditi di Sua Maestà, e il fascino della divisa deve aver contagiato la famiglia Thatcher, che pure era di tranquilla origine bottegaia.
Fatto sta che Mark Thatcher è stato arrestato nello scorso mese di agosto per aver finanziato, o addirittura organizzato un tentativo di colpo di stato in Guinea Equatoriale. Proprio come nei film d’azione, o nei romanzi di John Le Carré. Mercenari pronti a tutto, valigie piene di dollari e carichi di armi che transitano da un paese all’altro, in questo caso dallo Zimbabwe e dal Sudafrica. Ora, in Guinea Equatoriale, piccola e sconosciuta ex colonia spagnola, c’è un dittatore spietato (tanto per cambiare) che si chiama Teodoro Obiang Nguema, la cui dipartita in sé non sarebbe certo una disgrazia. Ma il fatto è che lo spietato dittatore da anni fa lauti affari (tanto per cambiare) con le compagnie petrolifere americane. Sembra quindi che dietro il complotto, che mirava a sostituire Obiang con il capo dell’opposizione in esilio Severo Moto, ci fosse addirittura la Spagna, che non vuole essere tagliata fuori del tutto dal business petrolifero, soprattutto quando riguarda una sua ex colonia. Ma sulle implicazioni si possono scatenare i dietrologi. La nuda cronaca dice invece che la mente esecutiva del progetto è l’inglese Simon Mann, ex ufficiale delle SAS, il corpo speciale dell’esercito di Sua Maestà, e fondatore della società mercenaria privata “Executive Outcomes”. E qui il cerchio si chiude, dimostrando ottimamente come la globalizzazione stia privatizzando la politica, che è sempre più la mera continuazione del business con altri mezzi. Impossibile non riconoscere l’imprinting culturale di “Iron Maggie”, la Grande Madre del figlio imbranato. Secondo il suo liberismo integrale infatti, la vita è pura competizione, e se uno vince se lo è meritato, punto e basta. Amica di Pinochet e del governo razzista sudafricano, ostile all’Europa unita, la Thatcher ci ha spiegato in lungo e in largo che “la società non esiste”. E se ciò era vero per l’Europa, figuriamoci per un continente come l’Africa, lo specchio più fedele di una realtà che non vogliamo mai guardare in faccia.

Cesare Sangalli