Di cosa parliamo quando parliamo di Africa
Lezioni di calcio
I coccodrilli di Yamoussoukro
Colonnello, non voglio il pane…”
In nome di Allah clemente e misericordioso
L'albero delle donne e la donna degli alberi
Tutti a casa
Democrazia nel deserto
Figli di papà
E' mattina in Etiopia
Hotel Rwanda
Quando il Benin batte l'Italia
Il bandito e il campione
La seconda generazione
Un rebus chiamato Nigeria
Doctor Schweitzer & Mister Hyde

The African Job
Le mani sul Congo
I bravi maestri e i cattivi alunni
Le due Somalie
La luna calante e il giovane re
Democrazia turistica alla tunisina
Alle radici dell'odio
Le ombre dell'arcobaleno
Una fame antica, anzi moderna
I figli del "colonialismo straccione"
Ombre cinesi sul Continente nero
In piedi, entra la Corte
L'altro Congo

Un fallimento chiamato Kenya - nuovo

 

Pubblicato su “Galatea”, luglio 2004

I coccodrilli di Yamoussoukro

"…L’inserviente richiamò l’attenzione dei coccodrilli percotendo la ringhiera. Poi gettò la carne”. La cerimonia di fronte al palazzo presidenziale avviene ogni pomeriggio, puntuale come il cambio della guardia a Londra. Ma qui siamo in Costa d’Avorio, nella capitale ufficiale Yamoussoukro, e i coccodrilli sono gli animali totemici del defunto presidente e padre della patria Félix Houphuet-Boigny. A descrivere il misterioso cerimoniale è un grande scrittore, V.S. Naipaul, premio Nobel nel 2001, che ha scelto quel rito per titolare il suo libro (“I coccodrilli di Yamoussoukro” edito in Italia da Adelphi), una sorta di reportage sulla Costa d’Avorio, preceduto da un lungo “Prologo ad un’autobiografia”.
Il reportage è in realtà un’affascinante parabola sull’Africa, che Naipaul disegna con tocchi di autore attraverso lo sguardo dei locali e quello degli “espatriati”, bianchi o neri che siano. E’ il sofferto rapporto fra nord e sud (oggi si direbbe fra Occidente e resto del mondo), fra tradizione e modernità, che lascia le questioni comunque aperte: qual è il rapporto degli africani con il potere? La democrazia è un’idea di importazione? La faraonica e surreale Yamoussoukro, in passato sconosciuto villaggio dove è nato il Grande Presidente, è un’anticipazione dell’Africa che verrà o è una grottesca imitazione della modernità occidentale?
Occorre precisare che lo scritto di Naipaul risale al 1983. All’epoca la Costa d’Avorio era vista come una specie di miracolo africano, un paese che “aveva creato ricchezza partendo dal poco”, cioè dalle risorse agricole, soprattutto cacao e caffè (vedi “Galatea” del dicembre 2000). E “la ricchezza era stata distribuita e usata”, mentre “tutt’intorno regnavano il caos e il nulla”.
Naipaul è affascinato dall’idea di una “compiutezza africana”, una sorta di concezione metafisica del tempo, e quindi della Storia, in cui il progresso è solo uno strumento quasi fine a se stesso per continuare a rimanere quelli di sempre. “Non ti mando a scuola perché tu diventi un bianco o un francese – dice un vecchio africano al figlio che studia per diventare funzionario statale – Ti ci mando per farti entrare nel mondo nuovo. Tutto qua”. I palazzi di Yamoussoukro e di Abidjan, le strade asfaltate, la corrente elettrica e quant’altro sono soltanto un omaggio alla modernità: l’essenza africana sta tutta nella sfera spirituale, sembra sostenere Naipaul, e quindi anche il potere deve poter mantenere un alone di mistero. Il presidente della repubblica, con la sua formazione squisitamente francese, nutre i suoi animali totemici, per conservare il carisma di un vero capo africano. Il codice civile convive con l’uso dei feticci, l’economia di mercato con il regime tradizionale della terra. Molti degli “espatriati”, che siano francesi delle Antille o neri americani, faticano a capire che gli africani non si sentono in realtà inferiori a nessuno, anche se il loro livello di sviluppo materiale è estremamente più basso.
Quando Naipaul visita il paese, il miracolo economico è già in fase discendente, come nota lo scrittore caraibico. Il motivo di base è semplicissimo, e tutti i produttori agricoli lo conoscono da sempre: chi compra comanda, e chi vende serve, per dirla alla Galeano (“Le vene aperte dell’America Latina”). I prezzi del cacao e del caffè vengono decisi da multinazionali sempre più forti, come la Nestlé, la Kraft, la Procter & Gamble e altre ancora, con il sostegno politico degli organi preposti alla globalizzazione: Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Organizzazione mondiale del commercio. La concorrenza al servizio del consumatore, a certi livelli, è una balla fiorita per occultare le rapine del capitalismo finanziario. Non risulta che i prezzi della cioccolata o del caffè in polvere siano dimezzati, negli ultimi anni, come è successo ai ricavi degli agricoltori del sud del mondo, in questo caso gli orgogliosi planteurs della Costa d’Avorio.
Anche la recente, aspra discussione sui sussidi agli agricoltori occidentali, in particolare quelli europei, è in gran parte fuorviante, perché sposta l’attenzione sul lato della produzione agricola anziché concentrarla su quello commerciale. Il caso del caffè e del cacao è esemplare, visto che questi prodotti non devono certo affrontare la concorrenza europea o statunitense. Al di là delle mille bugie ufficiali, il mercato è libero solo nel senso che i più forti sono liberi di schiacciare i più deboli.
Fin qui i fattori esterni, che restano i più importanti, soprattutto per i paesi, come appunto la Costa d’Avorio, legati a filo doppio alle esportazioni. All’interno le cose si complicano, e il tema economico si fa anche politico, sociale, culturale.
Cominciamo col dire che, in Costa d’Avorio, gli artefici del miracolo (spesso ingiustamente rimpianti) sono anche i pionieri della rovina. Questo giudizio non risparmia assolutamente il Grande Presidente, detto anche “il Vecchio”, Félix Houphuet-Boigny. Grandi sono stati i meriti storici del leader dell’indipendenza ivoriana, che resta un esponente politico di prima grandezza, perfino geniale nel saper gestire i delicati equilibri di un paese così complesso (almeno cinque grandi gruppi etnici, per metà musulmani e per metà cristiani) che è passato dai tre milioni di abitanti nel 1960, anno dell’indipendenza, ai 17 milioni attuali, con una presenza di immigrati stranieri che superava il 30 per cento della popolazione.
Ma a partire dagli anni Ottanta, Houphuet-Boigny incarna il male oscuro che comincia ad affliggere la Costa d’Avorio: il paese è incapace di cambiare, tende a vivere di rendita sul passato, con una mentalità già decadente quando sono passati solo vent’anni dall’indipendenza. Assomiglia ad una famiglia in cui tutti vivono all’ombra di un padre autoritario, e tutti i cambiamenti sono rimandati, si faranno “a babbo morto”. La dipendenza dall’estero si fa ancora più forte, grazie agli sprechi di una classe dirigente che ama vivere al di sopra dei propri mezzi, seguendo il fulgido esempio del “Vecchio” che in piena crisi economica pensa a costruire l’ennesimo monumento a se stesso, un’imitazione della basilica di San Pietro proprio a Yamoussoukro, inaugurata dal papa nel 1990, dopo furiose polemiche. La Costa d’Avorio accumula un enorme debito internazionale, e quindi non può che piegarsi docilmente a tutti i diktat imposti dai creditori, che vengono sistematicamente scaricati sulla fasce più deboli. Tutto resta uguale, anche dopo la morte di Houphuet-Boigny (1993), mentre i paesi vicini svoltano verso una democrazia accettabile (Benin, Ghana, Mali) o sprofondano nella barbarie (Sierra Leone, Liberia). La Costa d’Avorio si illude di poter continuare a non scegliere, e il clima politico comincia ad avvelenarsi. Il Vecchio è spirato di morte naturale, quando molti gli pronosticavano una fine violenta o in esilio, tipica di tanti capi di stato africani; però non si può dire che abbia chiuso in gloria, dopo che le frange più coraggiose del paese (gli studenti) gli avevano dato apertamente del ladro. Altro che carisma misterioso del sovrano africano.
Non sembra esserci nessuna specificità africana nella regressione della Costa d’Avorio: in crisi profonda di legittimazione, il presidente Konan Bedié, squallido erede del pur grande Houphuet-Boigny, fa appello al nazionalismo, davvero grottesco in un paese così meticcio e con soli quarant’anni di indipendenza, soprattutto per trovare un capro espiatorio cui addossare i mali del paese. Un vecchio sporco trucco della politica, da Hitler a Milosevic, passando per Bossi e Le Pen. Negli ultimi cinque - sei anni, tutto il dibattito politico si è concentrato sul concetto di “ivoirité”, con tanto di riforma costituzionale e referendum nazionale. La gente ha abboccato, introducendo di fatto una cittadinanza di serie A e una di serie B, tutta basata sui legami di sangue: per essere ivoriani DOC, bisognava avere anche i genitori ivoriani. Migliaia di agricoltori provenienti dal Burkina Faso, quasi tutti musulmani, che si sono spaccati la schiena per decenni nelle piantagioni, prima da braccianti, poi come affittuari o piccoli proprietari, hanno cominciato ad essere visti con ostilità. Il problema erano loro, adesso, e tutti gli stranieri in generale. La spirale era stata innescata, e non ha tardato a dare i frutti.
La rabbia dei nuovi poveri, soprattutto dei giovani delle città senza futuro, è stata cinicamente sfruttata da tutti i politici, nessuno escluso. Nel caos crescente, è sceso in campo l’esercito, formato in gran parte di avventurieri che se non indossassero una divisa sarebbero delinquenti comuni (questa sì sembra davvero una specificità africana). Fra elezioni nella violenza, tentativi di colpo di stato (con un ruolo assolutamente ambiguo della Francia), omicidi politici, siamo arrivati ad una guerra civile permanente, per quanto statica (ogni fazione ha la sua porzione di territorio e potere; i francesi e un contingente ONU fanno da arbitri). La favola del miracolo africano, per ora, finisce malissimo. Il furbo paternalismo di Houphuet-Boigny ha prodotto una pletora di figli deficienti e violenti. La novella però, agli occhi di Naipaul, era affascinante, e poteva iniziare così: c’era una volta un presidente africano che aveva una cultura francese e nutriva i coccodrilli nel suo bellissimo palazzo di Yamoussoukro…

Cesare Sangalli